Ci sono casi nella storia dell’arte dove è labile il confine che separa la mediocrità del falsario dall’eccellenza dell’autentico artista. Uno dei più controversi è proprio il caso di Alceo Dossena, nato a Cremona nel 1878 e morto a Roma nel 1937. La sua vita è costellata di tranelli tesi ai direttori delle principali gallerie e musei del mondo. I suoi capolavori, perché di questo si tratta, vennero realizzati nel gusto e nella forma dei grandi maestri del medioevo e del primo rinascimento. Egli fu capace di esprimere grande originalità, certo si governata dai dettami stilistici dell’antichità classica, ma che raramente si può rilevare nei meccanismi espressivi di un banale riproduttore di opere d’arte.

Era appena adolescente quando, dopo esser stato espulso da un istituto professionale iniziò a farsi le ossa nella bottega di un marmista, tra colonne in vari stili, portali e balaustrate, così tanto ricercate in quegli ultimi anni del XIX° secolo investiti dalle “mode” dei vari neoclassicismi.
La sua attività di falsario fu avviata invece nel 1916 da Alfredo Fasoli e Alfredo Pallesi, due mercanti d’arte dalla dubbia morale, che gli commissionarono, per poche lire, dei “falsi oggettivi” (cioè delle opere appositamente realizzate al fine di trarre in inganno) di famosi scultori dicendo invece di volerle immettere nel mercato come copie. Dossena cadde nel tranello. In questi anni s’impegnò addirittura ad affinare nuove tecniche per dare alle opere un aspetto antico, fondate su un attento studio delle patine osservate sui monumenti e nelle chiese della sua terra natia.
Alla vera e propria associazione per delinquere si aggiunsero anche le consulenze storico-epigrafiche di padre G.Sola, insegnante di liceo, pittoresco frequentatore di antiquari e taverne.
Con questi presupposti il Dossena permise ai due antiquari di piazzare, in un breve lasso di tempo, numerose sue opere come originali in giro per il mondo. I due, sempre più entusiasti delle possibilità tecniche dell’artista, riuscirono persino a mettere in piedi un vero e proprio trust fra vari antiquari italiani, continuando ad incoraggiare l’artista a praticare questa attività, suggerendogli soggetti ed iconografie, fornendogli oltre al supporto economico anche i materiali idonei, nuovi locali e tutto l’occorrente per una produzione intensiva. Addirittura il Dossena arrivò a confezionare perfino finti spogli di intere cattedrali, che si diceva affiorassero nelle bonifiche agricole del Maremmano.

Nel 1922, lo scultore non poteva sapere che il suo lavoro aveva già fatto fruttare ai due disonesti antiquari la considerevole cifra di 100.000 dollari, attraverso una truffa perpetrata ai danni del Museum of Fine Arts di Boston, con la vendita della tomba di marmo di una ricca nobildonna, Maria Caterina Savelli, morta nel 1430, spacciandola per un opera di Mino da Fiesole. Questo manufatto parve così bello che la direzione decise di esporla proprio all’ingresso del museo.
Cominciò in quegli anni comunque a serpeggiare una certa incertezza intorno alle tante opere che saturavano sempre più il mercato. I dubbi furono spazzati via quando, nel 1928, il sodalizio tra Dossena, Fasoli e Pallesi s’interruppe improvvisamente. Lo scultore si accorse finalmente di esser stato sfruttato da i due mercanti.
Dossena citò il Fasoli, sostenendo che il gallerista aveva venduto, a sua insaputa, molte sue opere come autentiche. Gli antiquari coinvolti si difeserero disordinatamente accusando lo scultore di essere un antifascista, ignorando che il dossena stava lavorando ad un busto di Mussolini. Inoltre, l’artista persuase Farinacci a difenderlo, ricompensandolo con due piccole statue.
Per vendicarsi dell’ingratitudine si autodenunciò, ma nessuno gli credette, nemmeno gli esperti coinvolti, come il bostoniano H.W. Parsons, consulente dei più importanti musei americani, vittima prediletta del “bell’inganno”, se non avesse portato in tribunale disegni e fotografie come prove inconfutabili delle sue incredibili contraffazioni.
Il processo, svoltosi tra il dicembre 1928 e il gennaio 1929, si risolse con l’assoluzione dell’artista per mancanza di prove. Dossena venne assolto proprio perchè all’oscuro di tutto. Si sviluppò l’idea che egli fosse stato una vittima degli antiquari. Erano stati solo due disonesti mercanti a beneficiare dell’attività del Dossena, mentre il geniale artigiano rimaneva così povero da non potersi nemmeno permettere il funerale della moglie.
Dopo il processo si condensò l’interesse per suo lavoro, permettendogli di iniziare una nuova carriera come artista legittimo. Si determinò allora una campagna internazionale per la valorizzazione delle opere del “neo Donatello”, che il Dossena stesso autenticò e firmò a posteriori; fu il periodo più fortunato dì tutta la sua carriera. Venne addirittura scelto per la realizzazione del Monumento ai caduti di Cremona, mai realizzato e produsse numerose sculture per varie chiese italiane.

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Fu quindi un artista falsario oppure un falsario artista?