Il mezzo mistero raccontato nell’articolo precedente diviene storia se poggiamo la lente d’ingrandimento su i fenomeni sociali dell’Europa e della Sicilia dell’Ottocento.

La moderna classe media, in ascesa in tutta Europa, va a prendere progressivamente il posto dei pochi nobili proprietari terrieri dell’isola. I nuovi borghesi, come il loro predecessori, non coltivano direttamente il feudo, ma ne affidano la gestione ad un funzionario, il gabellotto (da gabella, la quota pagata per l’affitto) il quale a sua volta cede le quote ai braccianti a compartecipazione.

Due “Gabellotti di Campobello”, fonte: agrigentoierieoggi.it

Ma la figura con gli attributi più vicini all’idea di “mafioso del feudo” è quella al soldo del gabellotto. Il prototipo del comune picciotto è il campiere, figura incaricata di assicurare l’ordine nelle campagne. Ordine garantito il più delle volte a son di colpi di lupara.

Questa sorta guardia armata agiva su i territori a loro assegnati, arrogandosi il diritto di dirimere le controversie, ricorrendo il più delle volte all’uso della forza. Purtroppo, questo prototipo di mafia delle campagne non è del tutto scomparso. Lo dimostrano i recenti processi per i fatti delle Nebrodi.

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In questo contesto profondamente condizionato dall’arretratezza, la Sicilia è ancora di fatto preda di un sistema feudale vero e proprio. Durante tutto il XIX° l’isola è costantemente in tumulto. E’ il principio di quella che gli storici definiranno “questione meridionale”, una vergogna tutt’ora irrisolta.

L’unità d’Italia non era riuscita a portare sull’isola i benefici agognati, traducibili in una nuova distribuzione delle terre coltivabili, in un miglioramento delle condizioni lavorative e una completa riforma del sistema fiscale. Con questi presupposti, è naturale che le classi meno abbienti cercassero riscatto attraverso la protesta e la lotta. E così avvenne.


Renato Guttuso – 1950 – Occupazione delle terre incolte di Sicilia

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