Contemplando qualsiasi forma d’arte si subisce inevitabilmente un certo grado di ammirazione. Ma cosa succede quando si vuol descrivere qualcosa di diametralmente opposto?

Un esempio facile facile di storia da disprezzare con anima e corpo, senza per forza esser siciliani, è quello legato alla scalata del potere di Cosa Nostra e la sua relazione con le istituzioni.

In concomitanza con le celebrazioni per la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, ho deciso di raccontare, di denunciare e di oltraggiare quel sistema criminale che più di altri nella storia contemporanea ha compromesso lo sviluppo del paese e la coscienza dei suoi cittadini.

Ogni grande sistema egemonico, criminale e non, fonda le sue radici su un sistema di potere già sperimentato nel passato. E’ sufficiente solamente che questi sia ben collaudato e radicato sul territorio che si vuole amministrare.

Di esempi di questo genere la storia ne è piena: il sistema vescovile sorge sopra le ceneri di quello romano dei consoli, il sistema attuale dei comuni italiani è ricalcato sopra quello medievale e così via. Stesso dicasi per Cosa nostra. La signoria territoriale della Mafia, almeno per quanto riguarda la sua fase embrionale, dipende dal governo del contado.

Come è facile da intuire, la struttura tentacolare della mafia (non il famoso ttraffico raccontato da Paolo Bonacelli, in una celebre scena di Johnny Stecchino!) poggia saldamente le sue fondamenta sul totale controllo del territorio di sua “competenza”.

Come questi antenati dei cosiddetti “uomini d’onore” siano riusciti a conquistarsi il predominio della Sicilia resta un mezzo mistero. La genesi della mafia è fortemente condizionata da un immensa mole di leggenda.

Leggenda, per di più spesso divulgata dai mafiosi stessi. Come nel caso di Giovanni Brusca, il quale in un interrogatorio cita i Beati Paoli, una specie di consorteria segreta (uomini che condividono la stessa sorte) votata all’omertà più assoluta sul suo operato: «La Mafia non è nata adesso, viene dal passato. Prima c’erano i Beati Paoli che lottavano coi poveri contro i ricchi […]: abbiamo lo stesso giuramento, gli stessi doveri»

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Inoltre, come non citare il celeberrimo racconto di dei tre cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Un racconto facile da comprendere ed altrettanto pericolosamente facile da ricordare. Quasi una versione pulp dei Tre porcellini:

“Nel 1412 i tre cavalieri di Toledo, dopo aver aver lavato nel sangue l’onore della loro sorella, fuggono e si rifugiano a Favignana. Il più pigro dei tre, Osso, si ferma in Sicilia dove fonda Cosa nostra. Il secondo, Mastrosso varca lo stretto per fondare la ‘Ndrangheta, mentre il terzo, Carcagnosso si spinge fino alla Campania dove fonderà la Camorra.”

Come poteva non fondarsi su una miriade di storielle romantiche la genesi di un organizzazione di delinquenti e parassiti?

La leggenda è un pò come il maiale… Può benissimo aver pensato un mafioso qualsiasi. Non si butta via niente, soprattutto se questa agevola la diffusione di una tradizionale omertà. L’uso di sinistre cerimonie iniziatiche e una tavola di leggi la cui prima regola parlava di castigo ai traditori, contribuiva a creare senso di appartenenza ed unità ferrea. Per questo motivo, non essendo mai esistito niente di lontanamente onorevole o venerabile in Cosa nostra, i suoi stessi membri hanno spesso incoraggiato questo processo di mistificazione.

Tale processo non ha prodotto solamente il mito fondativo della Mafia ma ha anche contribuito a plasmarne la liturgia, mescolandola e diluendola con una buonissima dose di pseudo-cattolicesimo e santini vari bruciati nei riti di affiliazione.

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